Cristina Celestino

Cristina Celestino

Cristina Celestino (1980) lavora sulle forme, privilegiando il rapporto fra la geometria e l’evocazione del passato, con gusto autonomo e contemporaneo. Ogni suo piccolo o grande oggetto riesce ad avere un impatto scenografico di grande effetto poetico e comunicativo.

Nel tuo curriculum indichi il SaloneSatellite come una sorta di trampolino di lancio per la tua carriera. Era il 2012, e ci sei arrivata con già sette anni di lavoro alle spalle e con uno studio, Attico Design, avviato l’anno precedente. È stato importante per te questo “rodaggio” prima del “successo”?

Il SaloneSatellite ha segnato il mio debutto ufficiale nel design. L’anno prima avevo proposto in un piccolo evento del Fuori Salone una piccola collezione di arredi, commissionata da un cliente. Quindi, grazie anche alle mie precedenti esperienze negli studi e con le aziende, ero pronta sul fronte del processo produttivo e progettuale, ma l’appuntamento in fiera mi ha posto di fronte alla stampa, al confronto con i colleghi e alla stessa città, di cui non conoscevo ancora le dinamiche.

Come sei riuscita a portare avanti la tua ricerca, mentre lavoravi per altri, e poi a staccarti completamente per consolidare il tuo studio?

All’inizio mi dedicavo ai miei lavori in autoproduzione solo nel weekend, poi mi sono riservata un giorno durante la settimana, e mano a mano ho iniziato a sviluppare lavori su commissione. Infine la gravidanza ha segnato il momento di pausa dal resto e il conseguente passaggio all’attività in proprio. È successo tutto per gradi e in modo molto naturale.

Lavori soprattutto nell’ambito della decorazione, e il tuo ingresso ufficiale nel mondo del design è coinciso con un ritorno diffuso del decorativo. Conclamati meriti a parte, credi che quest’ondata ti abbia facilitato? Cioè, quanto può essere determinante per un designer il gusto del momento?

È importante e io sono stata fortunata. Si è creato un incontro favorevole fra la mia attitudine progettuale, il gusto in generale e gli obiettivi delle aziende. Più che di ritorno al decorativo, direi che è aumentata l’attenzione a “vestire” la propria casa, all’importanza del dettaglio, alla cura della scelta dell’oggetto per rendere il proprio ambiente unico e personale. Anche quando si tratta di prodotto in serie. Tanto nell’ambiente quanto nel retail. Nel retail del mondo della moda, per esempio, si tende a differenziare le boutique, a personalizzarle rispetto ai luoghi per rendere l’esperienza di vendita e di acquisto unica. Si sta sostituendo l’idea della fissità dell’identità del brand, con l’idea della sua interpretazione declinata anche per mano di diversi progettisti.

Spazi dall’interior domestico e per il retail agli allestimenti, dal prodotto per aziende al pezzo unico o piccole serie per gallerie, e collabori con i brand di moda. Sembra senza difficoltà e con un’impronta progettuale precisa, ma c’è un ambito che prediligi?

La mia formazione di architetto, più che di designer, mi porta a sentirmi maggiormente a mio agio quando affronto progetti di interior completi. Non faccio differenza fra gli ambiti. Mi viene più facile pensare l’arredo se devo pensare anche la “scatola”. Includere l’ambiente, il contesto, è un processo che applico anche quando devo disegnare un oggetto o un arredo singolo.

I tuoi progetti sono spesso complessi, e sovente devono assoggettarsi anche ai capricci della materia, come il vetro o la ceramica, quando ritieni “finito” il progetto su cui stai lavorando?

È fondamentale il rapporto con chi si occupa della produzione, fin dal primo momento. Si discutono insieme le modifiche migliorative, si passa ai prototipi e quindi alle verifiche. Sono questi passaggi a portare all’esito finale.

Cosa vedi nella sfera di vetro del futuro dell’interior design?
Credo che si affermerà la tendenza di cui parlavo prima. Il passaggio dal vestire con cura se stessi al vestire con la stessa attenzione anche la propria casa. Al momento è appunto una tendenza. Il cambiamento, per affermarsi in modo capillare e diffuso, soprattutto nell’ambiente domestico e più di massa, richiederà del tempo.

Qual è il contributo che pensi di apportare con il tuo lavoro alle persone e all’ambiente in cui viviamo?
Da progettista, credo di poter contribuire alla costruzione del bello e all’estetica del mondo. Gli oggetti, la personalizzazione degli spazi raccontano tanto. L’unicità, l’artigianalità, le tradizioni, il senso delle origini. Temi che, attualizzati e contestualizzati, fanno bene in generale. Fanno pensare al passato, senza parlare necessariamente di nostalgia, e alla possibilità di un mondo migliore.

Apertura: Photo by Fabrizio Polla Mattiot - Ateliermistral