Alessandra Baldereschi

Alessandra Baldereschi

Alessandra Baldereschi (1975) ha una speciale dote nel reinterpretare la natura con la ferma intenzione di disseminarla in ogni interno domestico. Poi si prova con tecniche centenarie e ispirazioni culturali di ogni tempo e trova sempre una chiave moderna con cui proporle nel presente.

Hai una particolare propensione al racconto fiabesco e una predilezione per il mondo naturale. Situazioni, piante, fiori, animali sono motivi ispirazionali, ma sono anche emulati o evocati nei tuoi oggetti e arredi, fino a diventare la tua cifra stilistica. Ti riconosci in questo?
Sì, la natura è per me una presenza rassicurante, familiare, qualcosa di congenito e necessario. È come un “segno” che deve conferire all’oggetto personalità ma senza diventare invadente o aggressivo, deve contenere un’ispirazione ma senza eccessi. Ad esempio, nel caso del paravento Painting per De Castelli il paesaggio è solo suggerito, così ognuno può interpretarlo con la sua immaginazione.

Il tuo design è anche molto narrativo. È una condizione quasi funzionale che dai alle cose. Come costruisci questo aspetto, o meglio, è un punto di partenza?
Il punto di partenza di solito è una ricerca sulla parte irrazionale e sensibile: origini dell’oggetto o di quella tipologia, storie antiche, credenze popolari, racconti e ricordi d’infanzia, e altro conducibile a questa sfera, diventano materiale utilizzato nel processo creativo. Lavorando con aspetti emozionali o con la memoria, la storia si crea spontaneamente.

Questo tuo stile personale è richiesto dalle aziende – sono tante quelle con cui collabori – ma ogni volta riesci a calibrarlo e a dosarlo lasciando esprimere l’identità dell’azienda stessa. In quale fase la ricerca personale si fonde con le direttive della committenza?
Subito, sin dal primo incontro. Mi piace condividere immediatamente idee, spesso inizio anche a fare degli schizzi e si discute a lungo sulla direzione da prendere per realizzare le collezioni. Si parla di materiali, naturalmente, e di possibilità e limiti produttivi, ma spesso ci si trova a fantasticare proprio sul racconto e come calibrare la decorazione o gli elementi che creano una storia e l’identità della collezione. Indimenticabile una frase di Alessandro Mendini a questo proposito: "La decorazione è il romanzo scritto sulle cose”.

Hai partecipato tre volte al SaloneSatellite fra il 2002 e il 2004. È un’esperienza che consiglieresti alle giovani generazioni?
Il Salone Satellite è stato per me una finestra aperta sul mondo del design; mi ha dato l’opportunità di iniziare relazioni con aziende, giornalisti e altre figure professionali che fanno parte del sistema del design. All’epoca era uno dei pochi luoghi dove poter mostrare il proprio lavoro all’inizio della carriera.
Oggi, a distanza di 15 anni, ritengo sia ancora ancora un’ottima vetrina per Ie nuove generazioni.