Andrea Borgogni

Andrea Borgogni

Dal 2011, anno in cui ha avviato la sua professione in modo indipendente, si è fatto subito notare e ha vinto un premio dopo l’altro, compreso il SaloneSatellite Award nel 2013. Con esperienze in diversi ambiti progettuali, non nasconde la sua passione per le sedie, che disegna con grande abilità, e per le cose fatte bene. Con una particolare attitudine al fare artigianale, più che il futuro, a preoccuparlo è il presente nel quale ritiene che bisogna agire il più responsabilmente possibile. E in fretta.

www.andreaborgogni.net

Nel 2013 il tuo progetto di sedia Maybe, presentato al SaloneSatellite, si è aggiudicato per il concept una Menzione Speciale al SaloneSatellite Award e il Red Dot Design Award. Sei poi riuscito a sviluppare il progetto, così innovativo?
Questa sedia per me è tutt’ora il progetto più complicato che io abbia mai affrontato partendo da un’idea senza un reale committente, e riuscire a produrlo se ben solo in campioni da mostrare, fu uno sforzo economico e di progettazione notevole. Però ho imparato molto, soprattutto che le buone idee spesso vengono premiate come infatti in questo caso è successo, ma che altrettanto frequentemente le aziende hanno poi timore di finanziare la produzione. Io sono un industrial designer per formazione e per me la replicabilità, l’usabilità, l’etica, la durabilità, la forma e la funzione sono alla base di un buon prodotto, bello e brutto che sia. Quindi a oggi mi sono deciso di cercare fondi su piattaforme di crowfounding per produrre da solo un progetto che rispetta l’ambiente, che è durevole, facile da spedire, robusto e per molti anche attraente.

Hai una predilezione per il disegno di sedute, in particolare sedie. Cosa ti affascina di questo archetipo che rappresenta “la” sfida progettuale per moltissimi designer? E per te con risultati piuttosto felici, dato che raccogli sempre premi a livello internazionale.
Amo le sedie, ogni anno da quando sono diventato designer indipendente ho disegnato e prodotto o fatto produrre almeno una sedia. È proprio una passione radicata in me sin da piccolo e certi amori non si possono spiegare ma soltanto inseguire, e io lo faccio quotidianamente. Anche nel 2019 ho presentato due sedie al Salone del Mobile.

Industria o “fatto a mano”: in che ambito preferisci sviluppare il tuo lavoro?
Credo che oggi l’industria come la sognavo da studente di design non esista più, o meglio, per poter avere margini superiori le aziende si sono spostate sul contract e lì spesso si torna al fatto a mano perché la tiratura dei pezzi o il progetto sono talmente particolari che il passaggio è obbligato e qui devo dire che sviluppare i miei prodotti mi ha molto aiutato, infatti sovente faccio da tramite fra il cliente industria e l’artigiano che risolve i problemi.

Hai iniziato la tua attività, presso studi, nel 2005 e fondato il tuo studio nel 2011. A che punto sei del tuo percorso?
Mi ritengo soddisfatto del percorso anche se non saprei definire il punto esatto in cui mi ritrovo. Forse, da un certo punto di vista, è il punto migliore perché sento di voler tanto sperimentare, migliorare e lavorare. Forse, da un altro, è il punto peggiore perché è ancora difficile entrare in certi sentieri molto battuti… e quindi percepisco una forte saturazione che spesso mi fa domandare se tutto questo potrà durare o è già il momento di guardare al futuro con una prospettiva nuova.

Tu hai scelto una via tradizionale della pratica del design. Cosa pensi ci servirà per vivere al meglio, e in pacifica convivenza, nel futuro?
Il futuro è talmente vicino che ormai dobbiamo pensare che non c’è più tempo di rimandare un miglioramento o il classico upgrade che verrà fatto più avanti. Oggi non si può dimenticare per strada valori etici e per l’ambiente come spesso succedeva in passato. Perciò la pacifica convivenza credo che passerà anche attraverso una nuova tradizione di progettare e fare le cose.